
Milano, Montemarcello, Fontanellato – 13/14 Giugno 2015
Milano arriva al venerdì esausta, compressa da una bolla di calore e umidità che si gonfia e non trova sfogo. Il livello medio di isteria della città raggiunge livelli preoccupanti, in una sorte di sindrome premestruale collettiva. I mezzi pubblici sono ridotti a bivacco di imbruttiti razzisti che berciano (parole chiave imposte dalla cronaca locale: machete, scabbia, malaria, caldo. Probabilmente gli stessi argomenti di conversazione dei battelli del Rio Delle Amazzoni), le strade sono in balia di suonatori compulsivi di clacson. Il sollievo arriverà nel corso del weekend, sotto forma di abbondanti precipitazioni: è il momento di fuggire coi ragazzi e andare a testare il furgone lontano dalla città. Sabato escono i tabelloni del liceo del più grande, lo recuperi alla una un po’incazzato (matematica a Settembre, non potrà contare sul tuo aiuto perchè sei rimasto alle divisioni a due cifre) e punti verso quel fazzoletto di terra stretto tra Liguria, Emilia e Toscana dove pare che il sole splenderà.
Due ore e mezza dopo L’Orso Volkswagen si arrampica senza sforzo sul promontorio del Caprione. Lo abbandonate nei pressi dell’imbocco del sentiero che porta alla spiaggia: 700 gradoni di pietra e legno per superare il dislivello che separa il paese dalla spiaggia. Il percorso si snoda riparato dal bosco di pini di Aleppo e lecci, e i ragazzi lo percorrono senza neppure troppe lamentele, anzi appena si comincia a intravedere l’azzurro in fondo al bosco scattano come grilli lungo il sentiero. L’ultimo centinaio di gradoni ti tocca Maia sulle spalle (le tue ginocchia ti ringrazieranno per l’intera settimana) e giungete alla spiaggia più bella della Liguria, una striscia di sassolini neri punteggiata da rocce, con alle spalle un dirupo su cui si arrampica la macchia. Il mare è grosso e regala onde spumose, le ragazze strillano lasciandosi travolgere, Mitia galleggia facendosi portare dalla corrente. Non sarà facile, ad Agosto, senza questo allegro pozzangherone blu che chiamano Mediterraneo…

Vi fermate a dormire in un campeggio semiabbandonato, un grande spiazzo erboso scandito da filari di pioppi. Prepari la cena per tutti e al calare della notte li metti a letto: la scarpinata per la spiaggia ha spezzato le reni alla prole. Prima di addormentarti fumi una sigaretta, pensando all’infinita to do list che è diventata la vita di molti ormai: ma come sopravvivere quando ogni cosa è una priorità? Quello che facciamo di solito, più o meno consapevolmente, è cominciare dalle cose più minacciose, quelle che “strillano” di più. Mettendole a tacere via via scorriamo la lista, avvicinandoci alle cose più piacevoli che ci aspettano fiduciose e sorridenti sul fondo. Ecco però che qualcuno si mette a strillare di nuovo là dietro, e noi corriamo a zittirlo; le cose belle possono aspettare ancora un po’. Non ci rendiamo conto che così facendo assecondiamo un sistema perverso, per cui quello che urla di più si sente legittimato dalla nostra sollecitudine a continuare a farlo, mentre il dolce che attende paziente lentamente scivola via. E’grottesco, ma forse bisognerebbe davvero sforzarsi di fare prima le cose belle. Sforzarsi di tagliare prima le unghie alla mano sinistra, come direbbe qualcuno.
La mattina di domenica il tempo è cambiato: nuvole basse nascondono il cielo, e una leggerissima pioggerella bagna i vestiti di chi si avventura fuori dal furgone. Rapidamente prepari la colazione, impacchetti tutto e ripartite. A bordo dell’Orso scatta il partitone a “ho la nausea”: pur di sedersi davanti tutti e tre le creature lamentano fantomatici sintomi di mal d’auto. Alla fine la spunta la piccola Maia, che dopo essersi lambiccata con la playlist dell’iphone (un infinito ping pong tra questa e questa, fino all’esaurimento) si addormenta; gli altri russano da un bel po’. Bella compagnia che mi fate, pensi, in realtà contento di poter riprendere il controllo della musica. Fuori scorrono umide le colline boscose della Lunigiana.
A Parma Ovest la svolta brusca per uscire dall’autostrada risveglia tutti. “Dove siamo?“, sbadiglia il più grande. “Vi porto a vedere un posto speciale. Vi piacciono i labirinti?” rispondi seguendo la statale che attraversa campi gialli di grano verso Fontanellato. Non te ne voglia l’esimio FMR (che di sicuro ti legge assiduamente), ma al primo impatto il complesso del Labirinto della Masone paga l’uso un po’ disinvolto del mattone: l’effetto Esselunga è dietro l’angolo (forse Caprotti potrebbe iniziare ad osare un po’). Una volta entrati però il labirinto è una meraviglia, una foresta di bambù che cresce selvaggia ed essenziale fino a nascondere il cielo. La casa museo è una sorpresa, contenitore di opere curiose e perturbanti (vedi la sala con le vanitas ai limiti dello splatter), divertente e piacevole da percorrere. Poi la mostra su Ligabue, vabè: tra tonsille di leopardi e autoritratti di tre quarti, insomma il trito repertorio, salta fuori una d
elirante battaglia nella neve tra russi, orsi, renne e lupi che pare Hugo Pratt (c’è anche Rasputin!). E infine l’esposizione delle pubblicazioni della FMR, tutte rigorosamente in Bodoni, tra cui questa che vorresti tanto nascondere sotto la maglietta di Maia per poi avviarti con disinvoltura verso l’uscita (“mia figlia porta il busto correttivo, sa. Ah si sì, adesso li fanno così, tutti quadrati, funzionan meglio”). Uscite giusto in tempo per prendervi secchiate d’acqua nei 100 metri che vi separano dal furgone. All’altezza di Lodi ti sembra di essere a Ottobre, alla barriera di Melegnano a Novembre.
Rientrato in città, trovi Milano sotto le coperte con una tazza di tè caldo e i biscotti, felicemente imbottita di Moment® Rosa: finalmente piove.