
Ieri faceva un anno esatto da che sei partito. Spero tanto che il tuo viaggio proceda bene, che sia esattamente come te lo aspettavi, eri così curioso… ma mi basterebbe sapere che sei felice e senza pensieri là.
Noi qui, beh ce la caviamo. La tua partenza ha avuto conseguenze complicate naturalmente, che ancora oggi stiamo cercando di gestire e risolvere con grande sforzo. Un paio di settimane fa (il caso vuole che fosse proprio il giorno del tuo compleanno) abbiamo dovuto far traslocare mamma in una casa nuova, è piccola ma è bellissima, con un terrazzo e una luce speciale: ti sarebbe piaciuta così tanto.
Abbiamo dovuto ridurre di molto le cose da portare essendo lo spazio piuttosto limitato, e purtroppo abbiamo dovuto smantellare il tuo studio con la sua libreria infinita: abbiamo tenuto tutti i libri più belli, e lasciato quelli più “tecnici” a una persona che conosci e che sicuramente ne farà l’uso migliore. Il lavoro di selezione è stata una vera immersione nel tuo universo: e qui ho trovato il regalo che mi hai mandato, e del quale ti ringrazio infinitamente. Non so come tu abbia fatto a farmelo recapitare così lontano come sei, ma l’ho trovato quasi subito in mezzo alle montagne di libri. Non puoi immaginare quale immenso valore abbia per me.
Devo confessarti infatti che da quando sei partito mi sento un po’perso: ci sono mattine che al risveglio mi sento come Dale Cooper/Dougie Jones. E trovare quel libro è stata una benedizione, perché li mi sono ritrovato: quello è stato il luogo dove ho fatto il mio ingresso nel mondo, è da lì che vengo, quello sono proprio io. Qui dentro mi ritrovo, nero su bianco: è quello che mi è stato insegnato da piccolo. Oggi tutte queste cose mi sembrano sotto attacco, mi sembra che il mondo vada da tutt’altra parte e mi appare all’improvviso irrimediabilmente lontano e diverso: io non ho la pretesa di dire quale sia la strada giusta da percorrere, ma nessuno può impedirmi di camminare lungo la mia. E averla ritrovata qui mi ha fatto essere orgoglioso di essere quello che sono.
E poi ci siamo anche io e te. Qui:

Ricordo benissimo quella chiacchierata, così come ricordo perfettamente il momento di cui ti raccontavo. Non so dire perché, ma conservo ricordi nitidissimi di quel periodo, il più felice della mia vita. C’è una cosa che non ho mai raccontato a nessuno, perché me ne vergogno forse, ed è che sono intimamente convinto che quando dovrò partire anche io sarà per tornare definitivamente là, in quel luogo magico dove ogni cosa esiste nel momento stesso in cui viene immaginato da una mente di bambino. Forse per questo non sento paura della morte; certo mi fa paura l’azione del “morire”, ma non l’ìdea dell’ignoto che ci attende. Quello proprio non mi spaventa, non lo ha fatto mai.
C’è una cosa poi che mi manca da morire, ed è il tempo passato a raccontarti i miei sogni, ad ascoltare le tue storie, a parlarti di questo o quel film che ho visto e che mi hanno turbato… di quel libroche avevo letto da ragazzo e ho ritrovato, ricordandomi che cosa volevo fare davvero nella vita… di luoghi speciali dove sono stato e che ti sarebbero piaciuti moltissimo…


di qualsiasi cosa mi abbia fatto pensare a te insomma, persino un cartone animato… senza paura di essere giudicato male, perché so che ci capiamo a perfezione. Ci siamo sempre capiti. Credevamo nelle stesse cose, e ora non riesco a trovare nessuno così: qualche volta mi sembra di essere io quello che è partito per un pianeta sconosciuto, non tu.
Cosa posso dire d’altronde. Il primo termine che mi viene in mente quando penso al mondo attuale è “mediocre”. Mi pare che tutto spinga verso la mediocrità, come se la mediocrità fosse ormai l’unica possibile alternativa all’inevitabile deriva entropica dell’universo. La mediocrità come unica via di sopravvivenza nel mondo creato dagli uomini. “Imparare ad accettare” è il mantra che ti ripetono tutti: imparare ad accettare quello che siamo, quello che sono gli altri, quello che ci circonda. Ma imparare ad accettarsi cosa?? Checcazzo, io volevo essere il cavaliere con l’armatura scintillante, e là sono rimasto. Se davvero non posso esserlo, beh allora sinceramente questa vita non mi interessa granché.
Per fortuna mi ricordo che ci sono ancora cose che so fare bene, o che comunque mi dà gioia fare,


allora mi dico bravo da solo, senza aspettare che me lo dicano gli altri, e vado avanti a cercare la luce nei punti dove meno te l’aspetti, perchè è lì che brilla di più.



Anche se forse alla fine, come dicevi tu, l’unica vera e grande via di fuga dell’uomo rimane la capacità di ridere, riconoscendo l’assurdo in ogni cosa: e così sia. Io sono comunque pronto.

Non c’è nulla di cui preoccuparsi, insomma: puoi trovarmi sempre lì, che oscillo tra Etty Hillesum e Groucho Marx. Prima o poi anche io ritroverò il bandolo della matassa, e mi risveglierò come Dale Cooper in ospedale a Las Vegas: con un quadro perfetto della situazione, e finalmente la consapevolezza di quello che devo fare. 100%.
Beh ora papà ti devo salutare. Buona continuazione del viaggio; saluta tanto la nonna, dille che mi è dispiaciuto tantissimo non averla potuta salutare ma è partita all’improvviso e qui in Lombardia hanno combinato un disastro con quel virus… E lei ci si è trovata in mezzo. A pensarla così esile sola di fronte a tutto questo mi si spezza il cuore. Dalle un bacio sulla fronte, come facevi spesso.
Se ti ricordi manda un messaggino su whatsapp quando arrivi.
La vita è difficile, ma non è grave: e neppure seria, tutto sommato.
Giuliano