ATTRAVERSARE UN FIUME

FullSizeRenderE’caduta troppa neve, ormai. Anche questa notte ne è caduta, e ora il cielo è coperto di nuvole. Ne cadrà ancora, e poi ancora. Le rocce sono coperte e ben presto lo saranno anche i tronchi delle betulle. Trovare licheni è sempre più difficile, presto sarà impossibile

Il crepuscolo artico andava assottigliandosi sempre di più: a breve il giorno avrebbe aderito alla notte, e il pallido sole si sarebbe coricato fino a primavera. Il grande maschio si stagliava sul cielo immobile annusando l’aria con le froge umide, tempestate di cristalli di ghiaccio.

Dobbiamo andare via anche noi di qui. Spostarci verso il lago, dove la foresta è più fitta e ripara il terreno. Là avremo cibo. Sono già andati tutti: siamo rimasti solo noi. E’ora di mettersi in cammino

Un brivido percorse la femmina, che istintivamente si avvicinò al suo piccolo: ma non era dovuto al freddo. Il maschio si accorse del leggero tremito dei palchi che sormontavano il capo della sua compagna.

Lo abbiamo fatto tante volte, lo faremo ancora. Tutto andrà bene

Questa volta è diverso. Questa volta c’è anche lui” rispose lei, strofinando il muso sul dorso della piccola renna, che subito si girò a cercare il volto della madre. “Non ha mai attraversato il Fiume Morto. Non corre veloce come noi. Troviamo un’altro cammino. Ti prego.”

I grandi occhi umidi fissarono imploranti quelli del compagno, che continuava a scrutare l’orizzonte. Poi si voltò verso di lei sbuffando rumorosamente vapore bianco dalle narici. “Abbiamo perlustrato tutta la foresta questa primavera. Non esiste un cammino che non sia tagliato dal Fiume Morto. Prima o poi lo incontreremo comunque, e lo dovremo attraversare“.

Che cos’è il Fiume Morto? Perché si chiama così?“. Il figlio si rivolse al padre, che lo guardò restando in silenzio. La madre gli fu subito accanto, la sollecitudine che tradiva l’agitazione. “E’ un fiume, solo che l’acqua non scorre. E’morta, pietrificata. Così è più facile da attraversare“. A quel punto intervenne il padre, con l’intento di chiudere la discussione “E’deciso. Partiremo al calare della notte. Quando fa buio è più facile che non arrivino… ” si interruppe, accortosi di aver detto una frase di troppo. “Chi, chi dovrebbe arrivare?” incalzò il piccolo, percependo subito l’incertezza. “Nessuno. Non verrà nessuno. Ora basta parlare“, disse il grande animale, avviandosi verso il bosco seguito dalla compagna.

Io l’ho visto il Fiume Morto” sibilò una voce alle spalle della giovane renna. La sagoma del lupo si stagliava magra e senza colori contro la neve bianca. Il piccolo si piegò sugli arti posteriori, pronto alla fuga. “Non temere, non ti attaccherò. Non ora. Sono solo e i tuoi genitori accorrerebbero subito. Tuo padre è grande e mi abbatterebbe con facilità.” La giovane renna rilassò i muscoli delle zampe, irrigidendo però quelli del collo. Il lupo continuò. “Io l’ho visto, il Fiume Morto. Mai e poi mai camminerei sulle sue acque nere e immobili. Ho visto le creature che popolano quel luogo orribile: spiriti che non appartengono a questo mondo, e che nessun essere vivente dovrebbe mai incontrare. Cacciati dal Regno dei Morti, nuotano incessantemente lungo il fiume alla ricerca di prede da divorare con le loro immense fauci. I loro occhi di fuoco non hanno pupille; e le loro urla quando ti vedono sono il suono più atroce che si possa udire”. Con un balzo il padre fu davanti al figlio, agitando le grandi corna di fronte al lupo. “Vattene, lupo! I miei zoccoli spezzeranno il tuo cranio. Vattene ora, e non tornare.” Il lupo mostrò i denti, arretrando. “Io ora vado. Ma tornerò, con i miei compagni. Sono tanti, tutti affamati quanto me.” Quando il lupo fu scomparso nella foresta, la grande renna si rivolse alla compagna. “Mettiamoci in cammino. I lupi sono veloci, ma se raggiungeremo il fiume prima che ci raggiungano saremo salvi”. Il piccolo abbassò la testa e si incamminò dietro al padre, mentre le ombre degli alberi cominciavano a confondersi con il buio.

Procedevano da ore ormai, gli zoccoli affondavano nella neve lasciando tracce inconfondibili del loro passaggio. Il padre in testa li incalzava ad aumentare il passo, mentre la madre chiudeva la fila voltandosi di quando in quando a scrutare l’oscurità alle sue spalle. La luna era poco più che un tenue bagliore al di là delle nubi, dovevano fare affidamento sull’olfatto per non perdersi a vicenda.

Il primo ululato spezzò il silenzio come un lampo nel buio. Senza che ci fosse bisogno di dirsi nulla, il cucciolo e la madre iniziarono a correre dietro al padre. Il piccolo sentiva i polmoni bruciare e la bava gli colava copiosa dal muso per lo sforzo; la paura gli formicolava nei muscoli delle zampe, lo faceva incespicare come quando era appena nato e doveva imparare a reggersi in piedi. Dietro di loro gli ululati esplodevano nella notte, si susseguivano interminabili provenendo da tante, tante gole diverse, sempre più vicine. Ormai la madre non aveva il coraggio di guardarsi alle spalle, pensava solo a correre, puntellando con il muso il cucciolo ogni volta che era sul punto di perdere l’equilibrio.

Non ce l’avrebbero fatta. Sentì formarsi quel pensiero sempre più nitido. Presto avrebbe distinto chiaramente il rumore del respiro affannato e feroce degli inseguitori, le zampe veloci che bucavano la neve. Il suo compagno li avrebbe difesi fino all’ultimo, e poi sarebbe toccato a lei proteggere la fuga del piccolo. Che ne sarebbe stato allora di lui, solo nella foresta coperta di neve? Rallentò e poi si fermò, voltandosi verso gli inseguitori. Forse si sarebbero accontentati del suo corpo, e avrebbero abbandonato gli altri. Non dovette attendere molto: calò il silenzio, ed ecco una, due, dieci ombre apparire intorno a lei. Divaricò le zampe, piegò in avanti la testa imponendo i palchi affilati ai suoi predatori. Era pronta.

“Manca poco ormai. Sento l’odore del Fiume Morto: non è lontano”. Padre e figlio procedevano affiancati ora. Il sacrificio della madre aveva sortito il suo effetto: forse la lotta proseguiva ancora, o forse i lupi erano già impegnati a placare la fame dilaniando la sua carne, quel che contava era che avevano abbandonato l’inseguimento. La foresta andava via via diradando, le due renne finalmente potevano rallentare il passo e recuperare un po’ di fiato. Il piccolo annusò l’aria: sentiva un odore nuovo, diverso da tutti quelli che conosceva. Un odore privo degli umori a lui familiari fatti di bosco, terra umida, calore animale: era qualche cosa di freddo, immobile, senza vita. “Lo senti anche tu, vero? E’ il fiume, siamo quasi arrivati. So che hai paura per quello che ti ha detto il lupo, e ora che tua madre non è più con noi: ma se farai come ti dico andrà tutto bene.” Si inerpicarono su un leggero rialzo del terreno, sulla cui sommità si fermarono.

Davanti a loro, un poco più in basso, scorreva il Fiume. Le sue acque erano di un’oscurità perfetta, priva di qualunque riflesso, un taglio nero nella terra che inghiottiva persino il flebile bagliore della luna. Niente di quello che avevano mai visto aveva un aspetto simile, era così innaturale che non poteva che appartenere a un altro mondo: un mondo senza vita, freddo, immutabile. Era impossibile capire in quale direzione si trovasse la sorgente: non un movimento increspava la sua superficie liscia, che si snodava sempre uguale a sé stessa in entrambe le direzioni.

“Dovremo nuotare in quell’acqua? E gli spiriti, verranno?” il piccolo non riusciva a staccare gli occhi da quel panorama desolato. Il padre rispose senza ricambiare il suo sguardo: “Non sarà necessario immergersi. La superficie reggerà il nostro peso, e potremo attraversarlo camminando. Gli spiriti… se verranno dovremo essere veloci a raggiungere l’altra sponda, loro non ci inseguiranno al di fuori dal fiume. Io starò davanti e tu mi verrai dietro, senza mai fermarti né voltarti: tua madre non arriverà. Non c’è altro, ma ricorda: una volta iniziata la traversata non ti fermare mai, per nessun motivo. Ora andiamo”.

“PORCAPUTTANA! MA CHE CAZZO FAI, IDIOTA!”. La donna si massaggiava il collo dolorante. “Merda! Merda! MERDA!”. L’uomo che sedeva al posto del conducente sbatté ripetutamente le mani sul volante. “Questi animali cornuti di MERDA! Ma perché si impiantano così in mezzo alla strada quando ti sentono frenare? Cazzo!”. Sganciò la cintura di sicurezza. “Per fortuna almeno era piccolino, pensa se invece di lui avessi investito quel bestione che è passato appena prima! Mi avrebbe sfondato il parabrezza, come minimo. Ci saranno delle ammaccature… scendo a controllare”. “NO!” la donna gli posò con forza una mano sull’avambraccio. “Non me ne frega un cazzo della tua macchina, adesso, o di quella renna di merda che tanto è morta! Rimetti in moto e andiamo, mi avevi promesso che per mezzanotte saremmo tornati a casa e ora sono già le due! Domani ho un appuntamento importante alle otto, tu e le tue serate del cazzo!”. L’uomo sbuffò e si legò la cintura di nuovo. Girò la chiave e ripartì lentamente lungo la statale che attraversava la foresta, lanciando un’occhiata fugace allo specchietto retrovisore, che inquadrava il corpo inanimato della piccola renna a lato della strada.

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